Ci si dava appuntamento in un parco, ci si metteva sparsi, chi in piedi,
chi sdraiato e chi in braccio a qualcun altro, dopodiché s'iniziava.
«Questo era il gioco, questa la sfida delle giornate di follia: aggirare
l'ovvio, non ripetere il risaputo, bucare il tempo, aprire strade,
sondare il possibile, il parallelo, l'alternativo. Poteva durare anche a
lungo questo aggrovigliarsi di nuvole e mondi, ma si atterrava, prima o
poi si atterrava sempre». La scuola di Roberto Vecchioni prima di tutto
è un luogo in cui s'insegna senza impartire lezioni. I ragazzi hanno
coraggio, desideri, paure, e una sete dentro che non si spegne mai. Sono
irrequieti, protervi, insicuri: in una parola veri. Si chiamano come i
più celebri pittori della storia, ma sono solo esseri umani in cerca di
se stessi. E il professore, quel Roberto Vecchioni che insegnava negli
anni Ottanta in uno storico liceo milanese, è colto, originale, ma
soprattutto appassionato, sempre disposto a quell'incantesimo che balena
diverso ogni giorno. Che parli della morte di Socrate, del viaggio di
Ulisse o di un verso di una poetessa contemporanea, i suoi occhi
brillano e la voce va su e giù come un canto.